Dal monte come dal mare, dal basso come dall'alto, c'è una presenza che si impone, come cardine del paesaggio. È la chiesa barocca di S. Matteo, conclusa nella sua forma attuale tra il 1754 e il 1807. Il progettista, l'architetto ticinese Gian Domenico Bagutti, è intervenuto su un precedente organismo di poco anteriore (1715-23) con grande arditezza: ne ha fatto il transetto di un nuovo corpo innestato perpendicolarmente e concepito per rivolgere al mare una splendida facciata culminante in due campanili gemelli.
Qualcuno ha di recente collocato San Matteo tra le trenta chiese più belle d'Europa (leggi).
Un'esagerazione se si guarda all'organismo in sé (e in particolare al suo interno); ma una semplice verità se si pone attenzione alle valenze urbanistiche e paesaggistiche di questa architettura che ha la forza di istituire relazioni a più livelli. Si offre al mare chiamando l'intera "conchiglia" collinare a partecipare a un rapporto totale. Il culmine è quel suo volgersi al sole che sorge dalle acque: un momento magico che quotidianamente si fa preghiera, ringraziamento, contemplazione.
Allo stesso tempo, a dispetto della ferrovia e della via Aurelia, la chiesa intrattiene una relazione colloquiale con l'agglomerato lineare che si snoda ai suo piedi. Una relazione tutelare e materna che tocca le corde del teatro e della musica. Dove l'architettura religiosa fa da voce e solista e l'insieme delle case fa la parte dell'orchestra (testo originale a cura di Giancarlo Consonni, professore ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano). Leggi l'articolo originale Scarica l'articolo (pdf - 1,73MB) (inserito nella nostra rassegna stampa il 12/06/2012)
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